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La riserva di cognac barricato del Montiferru non tradisce mai. Ogni volta che ho necessità di riflettere, tirare il fiato o calmare l’ansia, lui è pronto a farmi compagnia. Quel gusto deciso di alcool ammorbidito dal profumo di frutta secca tostata lo rendono il migliore amico dai tempi degli scavi nel Sinis con gli amici lussurgesi, rimasti tali sino a oggi. Solenne fu la sbronza una sera con Nicola mentre riguardavamo i provini delle foto fatte durante gli scavi. Ricordo, del giorno seguente, il tentativo imbarazzato di nascondere il mio equilibrio instabile a Maria, che ci prese in giro per settimane.
- [[Chiami Maria al telefono]]
- [[Continui a leggere i tuoi appunti->appunti]]
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Gmail, pur nel mio disordine di archiviazione, mi aiuta a trovare subito lo scambio di e-mail tra me e Giacomo.
La data mi riporta indietro di sette anni, l’ultima volta che ci siamo scritti. Giacomo mi racconta della nascita del suo terzo figlio, inaspettato ma sembra gradito. Pochi convenevoli, verso la fine del testo rileggo alcune righe che non collego al resto della e-mail. Forse un espediente per nascondere il messaggio. Sembra una lista di luoghi di Sardegna da visitare, ma non c’è introduzione all’argomento.
*Zona industriale Ottana (Nuraghe di Marasorighes), Porto Torres ci sto lavorando, manca poco per risultati più attendibili.* Stop.
Ci sono allegate anche delle foto dei luoghi indicati, nuraghi semidistrutti, quasi inaccessibili, entrambi poco conosciuti.
Riaffiorano alla mente le ricerche e le discussioni su come siamo arrivati a quei risultati. La paura come sempre mi blocca.
– [[Il panico ti fa cancellare tutte le e-mail di Giacomo]]
- [[Superi la paura e decidi di chiamare Giacomo al telefono]]
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Taccuino del gruppo di lavoro, scavi presso Nuraghe Antigori, agro di Sarroch.
24 luglio 1994
Ore 20.30 – Gli altri cinque studenti e la professoressa Ghiani ci hanno appena lasciato, siamo rimasti solo noi quattro a custodire gli scavi. Oggi due bei ritrovamenti nella torre C, domani puliamo residui di terra e cataloghiamo. Ci apprestiamo a posizionarci nell’ingresso principale del nuraghe, dove saremo meglio riparati dalla brezza.
Ore 21.30 – La luce inizia a calare e per non scaricare le torce elettriche abbiamo acceso un caldo e accogliente fuoco dove arrostire con calma le salsicce. Abbiamo già brindato con un pessimo vino, ma l’umore è alto e la serata si annuncia piacevole.
Il buio ormai è quasi totale, la salsiccia si colora e si profuma e il vino è quasi finito. Saremo costretti a pasteggiare con acq…
Ore 22.00 – Riprendo a scrivere con le mani tremanti e un grosso desiderio di scappare. Mentre scrivevo sul taccuino, circa mezz’ora fa, una grossa luce ci ha abbagliato, di primo acchito abbiamo pensato a un forte lampo proveniente magari dalle centrali della Saras, ma dopo qualche secondo siamo stati smentiti dall’apparizione di una figura all’interno della torre principale, nelle vicinanze delle scale per il piano superiore. Non so quanto tempo siamo rimasti pietrificati a guardare e ascoltare quella figura umana, forse uno sciamano. Ho pensato subito a uno scherzo, ma la paura negli occhi di Giacomo, Maria e Nicola mi ha convinto del contrario. L’essere ha parlato di una grande calamità e di luoghi sacri deposti a controllare gli errori umani, tante altre parole non le abbiamo capite.
*“Tre pietre salveranno la terra e solo una guida spirituale nel villaggio di Gruta potrà comprenderne il potere. Trovate le altre due pietre e non abbiate paura…”*
Dopo la sparizione della figura eterea, siamo rimasti fermi per un numero di secondi infinito, sino a quando la polvere, la luce e le nostre percezioni distorte hanno ripreso contorni a noi familiari.
– Scappiamo – la prima cosa detta da Maria – ho paura.
– No, no, dobbiamo capire se è uno scherzo – ha aggiunto Nicola.
– Ma quale scherzo, per quale motivo... e con noi in mezzo tutto il giorno, come hanno fatto?
– Ehi, guardate per terra – ci interrompe Giacomo –, una pietra rossa, lì, vicino al primo gradino.
– Mio Dio! Fantastico! Spero veramente non sia uno scherzo.
Abbiamo acceso le torce e lo stupore è stato collettivo. Una pietra rossiccia del diametro di 25 cm, con un foro centrale e delle incisioni nella parte superiore, ben lavorata e apparentemente di antica fattura.
Non abbiamo dormito tutta la notte nel fantasticare e dare un significato a quello che ci era appena accaduto. Il giorno seguente, al ritorno della professoressa e degli altri cinque colleghi, abbiamo preferito tenere nascosto l’episodio. La pietra era ben nascosta nello zaino di Nicola. Per due settimane nessuno di noi ha avuto il coraggio di riprendere il discorso. Siamo tornati alle nostre attività universitarie promettendoci di mantenere il segreto.
- [[Cerchi Nicola su Facebook]]
- [[Chiami Maria al telefono]]
- [[Scrivi una e-mail al panificio di Giacomo]]
- [[Accendi la televisione e ascolti i dati giornalieri sulla Pandemia]]
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– Lo so che non vorresti più sentir parlare di quella notte, ma ti assicuro che ciò che è emerso rileggendo i nostri appunti potrebbe farti cambiare idea, forse tra questa pandemia e quello che l’Apparizione ci disse potrebbe esserci una connessione. Ho bisogno di incontrarti e spiegarti a voce queste nuove scoperte. Ti prego, Maria, diamo un senso a questi ventisei anni di silenzi.
– Non so che dirti – mi risponde Maria. – Tra l’altro sai benissimo che è proibito uscire in questi giorni, che scusa possiamo tirar fuori se ci fermano?
– Dobbiamo rischiare, è un nostro dovere!
– Ci devo pensare – aggiunge Maria ancora perplessa. Eppure la sua voce adesso è più morbida meno infastidita. – Ci sentiamo domani? – conclude.
– [[Accetti la richiesta di Maria e aspetti domani]]
– [[Oramai sei deciso e la convinci a vederti fra un'ora]]
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Ci sarà pure un modo per togliermi definitivamente Maria dai pensieri, farò uno sforzo ma sarà definitivo, il segreto che ci ha unito rimarrà nei miei pensieri e nei suoi. Le mando un messaggio al cellulare dicendole che non la disturberò più. Un caro abbraccio. Lunga vita e prosperità.
FINE
- [[torna all'inizio della storia e trova un finale più interessante->prologo]]<===>Chiamo Maria dopo pranzo, non voglio essere più pressante di quanto sia già stato, decidiamo di incontrarci nel centro di Cagliari, zona Orto Botanico. Per evitare controlli o posti di blocco devo sciorinare le mie capacità di orientamento e conoscenza delle strade secondarie di una Cagliari spettrale e deserta. Rischio anche qualche breve senso unico in contromano ma giungo puntuale all’incontro. Maria è già arrivata. La vedo seduta dentro la sua utilitaria ben posteggiata. Trovo un parcheggio a poca distanza e mi avvicino.
– Ciao Maria.
– Ciao Simone.
– Allora come va? Ti trovo bene.
– Alti e bassi, un periodo così, il lavoro per fortuna mi fa pensare poco, ritrovarsi tutti i giorni a casa, ventiquattr’ore su ventiquattro è un po’ dura.
– Perché? Problemi con Giovanni?
– Diciamo che non è il nostro miglior periodo, ho avuto anche difficoltà a raggiungerti, è diventato gelosissimo.
– Mi dispiace, ho sempre pensato che meritassi il meglio dalla vita.
Mi lascio sfuggire frasi di circostanza troppo confidenziali e me ne pento subito. Riprendo il discorso sul motivo del nostro incontro.
– Credo di aver scoperto cosa intendesse dire lo sciamano visto a Sarroch e come possiamo organizzarci per mettere in pratica le sue richieste. Ti chiedo solo di renderti disponibile quando Giacomo e Nicola saranno pronti.
Maria mi guarda con una intensità che non avevo mai immaginato, sono quasi sopraffatto dalle emozioni. Mi saluta con un bacio sulla guancia e per un attimo mi sembra che le nostre bocche si sfiorino più di quanto dovrebbero. Faccio uno sforzo enorme per non baciarla davvero. Non ha dato conferma alla mia richiesta ma credo di aver capito la risposta.
[[Hai convinto Maria a far parte del gruppo; torna agli appunti per avere le idee chiare->appunti]]
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So di avere l’ultima occasione per spiegare a Maria quello che provo per lei e anche se ho usato la scoperta come scusa per incontrarla, sono sicuro che lei capirà. Ci dobbiamo incontrare all’uscita di Cagliari, primo distributore in direzione Sassari. Speriamo solo che nessuno ci interrompa. Arrivo trafelato e con i pensieri impazziti. Cerco le parole migliori per iniziare il discorso e quasi non mi accorgo della Stazione di servizio, rallento di botto e mi accosto sulla destra. Vedo la macchina di Maria parcheggiata e una pattuglia della Polizia che la sta facendo scendere. Non la vedevo da tantissimo tempo: è elegante, bella, perfetta. Come ho fatto a non dirle allora cosa provavo? Non posso avvicinarmi adesso. Mi accosto alla pompa di benzina e faccio rifornimento per non destare sospetti. Mentre osservo la scena vedo aprirsi lo sportello destro della macchina di Maria, scende un uomo, sui cinquant’anni, mi sembra di riconoscere il marito. Cavolo! Non è sola, perché? Il marito mi lancia uno sguardo e mi fa capire di andare via.
Mi resterà per sempre il dubbio: volevano incontrarmi per conoscere i dettagli delle mie nuove scoperte oppure Maria voleva farmi capire definitivamente che il suo cuore non sarebbe mai potuto essere mio?
FINE
[[Se non ti è piaciuto questo finale torna all'inizio della storia->prologo]]<img src="https://www.demoela.com/wp-content/uploads/2020/04/87482386_s.jpg">
#PROLOGO
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Mese di marzo, anno 2020.
Non ho dubbi, i libri di storia ricorderanno per sempre i giorni della pandemia denominata Covid 19, quando un mondo impreparato al passaggio di un virus da un pipistrello verso l’uomo, sfruttando una velocità nell’infettare nuovi corpi da far impallidire Batman, il suo parente più lontano, avrebbe vacillato economicamente e socialmente tenendoci reclusi in casa per mesi e mesi.
Ma è nell’emergenza di questi giorni che approfitto per riprendere in mano alcuni studi e curiosità su delle teorie lasciate nel cassetto tanto, troppo tempo.
Erano i giorni dell’università a Cagliari, quando eravamo giovani menti libere e proiettate verso un futuro incerto ma ancora tutto da costruire. Ore infinite chini sui libri si alternavano a serate davanti a un bel gioco da tavolo sorseggiando birre di scarsa qualità e fantasticando sulle nostre ricerche archeologiche.
Riprendo in mano gli appunti degli scavi effettuati insieme alla professoressa Ghiani nel 1994. Chiudo gli occhi e rivedo Maria, la mia amica di Serri, amata come si può amare solo la felicità. Penso a Nicola e alla sua simbiosi con la luce che trasferiva nelle foto mentre magicamente apparivano nella sua camera oscura, e infine a Giacomo, il più promettente di tutti, l’intuito fatto uomo, che dovette rinunciare da lì a poco ai suoi amati studi per la perdita dei genitori. So che lavora a Ottana, il suo paese natale; pane-furgone, furgone-casa.
Ma non mi basta ancora adesso chiudere forte gli occhi per dimenticare quel brivido di paura, carico di mistero e allo stesso tempo pietrificante, della notte in cui chiedemmo alla professoressa Ghiani di lasciarci custodire gli scavi del Nuraghe Antigori di Sarroch. Una notte come tante, quattro panini e una salsiccia fresca della dispensa buona di Giacomo, vino comprato al market sotto casa in piazza Yenne, e tanta voglia di cielo e spensieratezza, pur illuminati dalle tristi luci della Saras. Ma non sarebbe stata una semplice notte, perché quello che accadde ancora oggi rimane inspiegato e inspiegabile. Ancora oggi, il nostro segreto.
- [[Continui a leggere gli appunti->appunti]]
- [[Esci in balcone e bevi un bicchiere di cognac]]<===>
Rileggendo le frasi di Giacomo collego il suo indizio alle mie ultime intuizioni, devo chiamarlo subito. Trovo in calce alla e-mail il numero di telefono del panificio.
Saranno chiusi gli uffici, ma a quest’ora stanno sicuramente lavorando, penso.
Dopo otto, lunghi squilli risponde una voce conosciuta.
– Pronto?
– Giacomo, sono Simone.
– Ciao vecchio mio! Come vanno le cose da te?
– Bene dai. La mia vita da eremita mi aiuta a combattere la pericolosità del virus. Voi?
– Non ci lamentiamo, infarinati come sempre. Dimmi tutto.
– Vorrei parlarti di una cosa urgente e delicata ma sarebbe meglio vederci. Quando hai un attimo per me? Salgo dalle tue parti.
– Non puoi anticiparmi qualcosa? In questo periodo siamo molto impegnati con le consegne.
– Ti rubo solo un’oretta, sono sicuro che capirai.
– Domani pomeriggio è l’unico buco della settimana visto che consegno in zona.
– Domani sono da te.
- [[Prepari lo zaino con gli appunti per l’indomani]]
– [[Ricevi una telefonata da tua figlia a Madrid]]<===>
Ottana dista circa 150 km da casa mia, senza intoppi ci arrivo in un’ora e mezza. Stampo l’autocertificazione nel caso mi fermasse un controllo, la mia giustificazione per essere in strada è una riunione scolastica all’Università di Nuoro. Dovrebbe bastare.
Mi addormento sereno pensando alle cose che ho messo nello zaino: picchetto, torce, qualche batteria di ricarica, gli appunti ci sono…
Parto intorno a mezzogiorno, mangio un panino in macchina in modo da non perdere tempo. Arrivo a Ottana e mi fermo nella piazza di fronte alla suggestiva parrocchia romanica di San Nicola. La sua bellezza mi invita a salire le scale e osservarla da vicino. Fantastica, anche se in lontananza le ciminiere delle fabbriche di Ottana ne rovinano il panorama.
Alle due arriva Giacomo, eccolo lì, puntualissimo.
– Ciao Simone, ti trovo in forma!
– Grazie, scusami tanto per il disturbo. Ma non potevo aspettare.
– Dimmi.
– Mi devi accompagnare al Nuraghe di Marasorighes, credo di aver capito l’invito dello sciamano incontrato a Sarroch.
Giacomo diventa scuro in viso, potevo immaginarlo, per lui aver smesso di studiare è stata dura da accettare. Ma conosco anche la sua sete di conoscenza e non mi smentisce.
– Andiamo prima che qualcuno ci becchi insieme. Sali sul mio furgone, in paese mi conoscono tutti.
– Grazie, sei un amico.
Arriviamo sul posto, il Nuraghe Marasorighes ci aspetta. È un protonuraghe realizzato con la trachite della zona; nasconde ancora la sua forza e importanza, anche se oggi è relegato a osservare l’avanzamento dell’industria a poche centinaia di metri dalla sua collocazione.
– Entriamo dentro, vieni Giacomo.
– Se le mie teorie sono esatte, dovremmo recitare i versi scritti nella pietra trovata a Sarroch. Ho tradotto in suoni quelle incisioni.
Giacomo mi guarda stupito, sa quanto tempo mi sia servito per arrivare a queste conclusioni.
Inizio a recitare le quindici parole incise sulla pietra che adesso custodisce Nicola a casa sua, e alla pronuncia dell’ultima, COVIDUM, si ripresenta la scena vissuta ventisei anni prima dentro al Nuraghe Antigori. Luce e fumo fanno da introduzione all’apparizione di una strana figura umana, sicuramente non reale, una sorta di registrazione tridimensionale ottenuta con strumenti a noi sconosciuti. La luce che penetra nel nuraghe rende tutto meno spettrale e questa volta la sensazione di terrore non ci sorprende affatto.
– Ecco la pietra! – grida Giacomo. – Sembra di colore nero, questa volta. Ossidiana pura, Dio come pesa.
– Sììì – urlo. Era come immaginavo, ora ci manca solo un altro elemento.
- [[Complimenti. Hai recuperato la pietra nera. Sei sulla buona strada.->finale]]
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Ti senti una volta alla settimana con tua figlia da quando lavora presso la sede dell’ambasciata italiana a Madrid, era felicissima dell’incarico poi questa situazione di pandemia ha ridimensionato i suoi entusiasmi.
– Ciao ba’.
– Ciao Claudia, dimmi.
– Domani mattina arrivo all’aeroporto di Elmas, ci mandano via tutti, qua sta diventando un casino.
– Domani ho un impegno… devo organizzarmi… – Balbetto vistosamente.
– Non tirare fuori scuse, sai che non so dove andare, ti aspetto alle 13.00 agli arrivi.
Io e mia figlia, un non-rapporto che dura da vent’anni. Sono costretto a rimandare l’appuntamento con Giacomo e conoscendo i suoi impegni non sarà facile incontrarlo nuovamente a breve.
Non c’è più tempo per risolvere l’enigma. Ho fallito.
FINE
[[Se non ti è piaciuto questo finale torna all'inizio della storia->prologo]]<===>
Finalmente abbiamo trovato le pietre, adesso anche quel senso di angoscia e vita sospesa che mi portavo dentro dai tempi degli scavi a Sarroch è svanito, mi sento libero, pronto per risolvere questo enigma. L’aiuto dei miei amici è stato fondamentale e lo sarà ancora di più ora che dobbiamo concludere la missione. Ho capito dai testi che non c’è più tempo da perdere, il simbolo due, zero, due, zero è ben visibile in tutte le pietre e non ho dubbi in merito, la pandemia di Coronovirus è strettamente legata a quello che le pietre ci raccontano.
Riprendo gli appunti ed evidenzio la frase che lo sciamano apparso nel Nuraghe Antigori aveva gridato:
*“Tre pietre salveranno la terra e solo una guida spirituale nel villaggio di Gruta potrà comprenderne il potere. Trovate le altre due pietre e non abbiate paura…”*
– [[Se possiedi tutte le tre pietre chiami i tuoi amici e partite per il villaggio di Gruta.]]
– [[Se possiedi solo due pietre rileggi gli appunti e scopri come arrivare a quella che ti manca.->appunti]]
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Eccole, tutte e tre vicine: pesanti come tutto il periodo che ci ha separato dalla notte di Sarroch, affascinanti come il mistero che le accompagna e importanti come quello che ci stanno chiedendo di portare a compimento.
Ora ci manca il luogo dove portarle e il modo.
Ho fatto una ricerca sui villaggi chiamati Gruta in tempi antichi. Molti paesi in Sardegna o località adesso scomparse prendevano questo nome per la vicinanza di grotte naturali importanti e spesso utili per la sopravvivenza della comunità.
Per riallacciarmi in modo diretto al fatto che i nuraghi dove abbiamo trovato le pietre fossero delle sentinelle di controllo allo sviluppo delle maggiori zone industriali sarde, mi ha colpito molto il fatto che alcune grotte venissero usate anche per la raccolta del guano come concime naturale prima dei fertilizzanti chimici. La grotta del Diavolo di Muros, la grotta Majore di Thiesi, la grotta Badde o Su Guanu di Pozzomaggiore e la grotta Tuva ’e Mare di Mara mi hanno portato via un po’ di tempo nelle valutazioni.
Ma una cavità naturale su tutte ha attirato le mie attenzioni: la grotta di Sa Rocca Ulàri di Borutta, posta nelle immediate vicinanze dell’Abbazia di San Pietro di Sorres e del suo monastero benedettino.
*“Il toponimo di Sorres è comunemente legato alla cattedrale dedicata a S. Pietro Apostolo edificata in stile romanico durante la riforma della Chiesa voluta dal Papa benedettino Gregorio VII nei secoli XI-XII e facente capo all’omonima diocesi sino agli inizi del XVI Secolo. Meno nota è la presenza nei terreni immediatamente adiacenti alla cattedrale di una grotta di origine carsica denominata Sa Rocca Ulàri, il cui ingresso si apre lungo il versante settentrionale dell’altura di Sorres e nella quale le tracce della presenza umana si susseguono senza quasi soluzione di continuità dal Neolitico Medio fino all’età contemporanea”.*
(Tratto da: Pier Paolo Soro, La grotta di Sa Rocca Ulàri in loc. S. Pietro di Sorres, Borutta (SS). Aspetti archeologici, in “IpoTESI di Preistoria”, Vol. 2, n. 2, 2009, pp. 97- 127).
*“…solo una guida spirituale nel villaggio di Gruta potrà comprenderne il potere…”
“…solo una guida spirituale nel villaggio di Gruta potrà comprenderne il potere…”
“…solo una guida spirituale nel villaggio di Gruta potrà comprenderne il potere…”*
La frase mi è rimbalzata in testa così tante volte che alla fine non ho avuto più dubbi. Se c’è un posto che può dare riposte alla nostra scoperta, quello è il monastero benedettino di San Pietro di Sorres.
Chiamo Maria e Nicola, sono pronti. Raggiungiamo Giacomo presso il Nuraghe Losa di Abbasanta, da lì proseguiamo nascosti dentro il suo furgone di lavoro, i cesti che contengono il pane ci faranno da scudo nel caso dovessimo incappare in qualche controllo.
Sino ad Abbasanta la nostra autocertificazione per il divieto imposto dal governo di non allontanarsi dalle proprie abitazioni prevede uno spostamento per fini giornalistici, anche questa volta i consigli di Nicola ci aiuteranno a sembrare credibili.
Arriviamo ai parcheggi della biglietteria del Nuraghe Losa. Quante volte sono stato lì a parlare con le gentilissime e preparate ragazze che gestiscono con cura e passione il luogo sacro davanti a noi! Sembra incredibile, adesso tutto è fermo e silenzioso.
Giacomo arriva dopo cinque minuti, saliamo tutti dietro, nel van, e ci sistemiamo bene per il breve viaggio, tre quarti d’ora al massimo ci separano da Borutta.
– Tutto bene lì dietro?
– Sì Giacomo, perfetto, poi questo profumo di pane è inebriante.
– Ti è rimasta un po’ di quella tua salsiccia famosa?
L’umore è alto, direi elettrizzato. Siamo pronti, dopo ventisei anni, a ripetere una giornata indimenticabile. Evidentemente fa parte del nostro destino, quattro persone così diverse, per la maggior parte della loro vita distanti, unite in qualcosa di unico e profondo.
All’altezza dell’incrocio di Bonorva lungo la SS.131, Giacomo picchia tre volte sulla lamiera che separa la cabina del furgone dal cassone, è il segnale di allerta.
–Posto di blocco, ragazzi, silenzio assoluto.
Sento la macchina rallentare e accostare sulla destra.
– Patente, libretto e modulo di autocertificazione. Dove sta andando?
A parlare è un chiaro accento siciliano leggermente offuscato da una probabile mascherina.
– Devo consegnare il pane ordinato dal monastero di San Pietro di Sorres a Borutta.
– Da Ottana a Borutta? Non hanno panifici nella zona?
– Credo di sì, ma padre Michele è un caro parente e da sempre prende il pane da noi.
Stiamo giocando con il fuoco, stiamo inventando ogni dettaglio e anche il più piccolo controllo farebbe crollare il nostro castello di bugie.
– Mauro? Fai un colpo di telefono a Borutta, monastero di Sorres, chiedi di un certo padre Michele.
Cerchiamo i nostri sguardi nella penombra, siamo spacciati, sale un’angoscia palpabile da poter imbottire i panini presenti nelle ceste.
Sento la voce dell’agente allontanarsi.
[[Gridi a Giacomo di scappare.]]
[[Attendete ancora gli sviluppi del momento.]]
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Sentiamo gli agenti confabulare, la distanza e il passaggio continuo di altri mezzi, soprattutto tir e mezzi commerciali, non facilitano l’ascolto della conversazione.
– Stanno tornando, tenetevi pronti a tutto – dice Giacomo sottovoce.
Sentiamo i passi avvicinarsi, non respiriamo da oltre dieci secondi, io ho il cuore in gola, ho quasi paura che si senta il battito nel silenzio del cassone.
– Apra gli sportelli posteriori per piacere.
Giacomo scende dal furgone e accompagna l’agente. Entra una luce che sposta i nostri visi, ma il rumore è impercettibile. Le prime ceste creano una barriera sicura, studiata, se non hanno motivi di perquisire ulteriormente non dovremmo avere problemi, in teoria.
Venti, trenta secondi interminabili prima che il buio riprenda il suo posto nel cassone di lamiera.
– Non risponde nessuno al monastero, ci fidiamo del suo buon senso, buona giornata e buon lavoro. L’agente siciliano congeda così Giacomo e noi riprendiamo fiato dopo un’apnea olimpionica.
Nei chilometri successivi, nonostante l’adrenalina ancora in circolo nelle vene, riusciamo a distrarci dall’accaduto parlando un po’ delle nostre vite private. Arriviamo a destinazione mentre Maria racconta la sua vita difficile con il marito e quasi mi dimentico del perché siamo in viaggio.
– Arrivati, siamo nel piazzale del monastero, scendete.
Una giornata limpidissima e un caldo avvolgente ci riceve all’apertura dei portelloni del furgone. Abbiamo bisogno di qualche minuto per riprendere bene il contatto con la luce del giorno.
Siamo davanti ai sei gradini che portano all’ingresso della ex cattedrale. Che emozione, sembra lì ad aspettarci, tutto attorno solo il silenzio della natura e il suo corso. Carichiamo in spalla i tre zaini contenenti le pietre.
– Entriamo dentro, i monaci benedettini vivono qua da tantissimi anni. Sapranno dirci qualcosa.
Costeggiamo un piccolo vialetto alberato al fianco della chiesa e bussiamo a una porta. Aspettiamo qualche secondo. La porta si apre, un giovane monaco ci invita a entrare e ad accomodarci.
– Posso esservi utile? Non riceviamo visite da molto tempo, come mai siete qua?
– Abbiamo bisogno di aiuto per decifrare delle antiche scritte e siamo sicuri che qualcuno di voi possa fare al caso nostro.
– Mmmh, una cosa molto curiosa e inaspettata, attendete un attimo che sento il nostro esperto di iconografia. Stava pregando, ma potrebbe aver finito.
– Grazie – rispondiamo tutti insieme.
Ci guardiamo attorno, libri antichi e un’aria sospesa nel tempo rafforza la nostra percezione di essere nel posto giusto.
Dopo qualche minuto, il giovane monaco torna nella sala d’aspetto, pacato e composto come prima.
– Padre Jacopo, il nostro esperto, è ancora in meditazione. Se avete piacere posso farvi ricevere dall’abate Luigi, in questo momento è lui che cura gli aspetti più importanti della nostra vita comunitaria.
[[Aspettate di incontrare Padre Jacopo]]
[[Fatevi ricevere dall’Abate Luigi]]
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– Buongiorno a voi, sono padre Jacopo. Padre Germano mi ha anticipato la vostra presenza qua.
– Grazie della sua disponibilità, possiamo mostrarle alcune pietre che abbiamo trovato durante le nostre ricerche archeologiche? Ci mancano dei passaggi che siamo sicuri lei possa chiarire.
Giacomo estrae la pietra dal suo zaino, quella nera trovata nelle campagne di Ottana dentro il Nuraghe Marasorighes. Cerca un tavolo per appoggiarla quando padre Jacopo lo blocca. La sua gentilezza e calma sembrano improvvisamente svanite.
– Rimettete a posto quella pietra, venite con me, vi prego, qua non siamo al sicuro.
Bingo, siamo nel posto giusto.
Ci spostiamo di almeno due ambienti, entriamo nella chiesa e dopo aver attraversato la sacrestia padre Jacopo apre una piccola porta e ci invita a entrare. Un corridoio buio e basso ci porta sino a una stanza vuota. Al buio pian piano si sostituisce la fioca luce di un candelabro, tre candele consumate sono la nostra fonte energetica.
– Come le avete trovate? – ci chiede trafelato padre Jacopo.
Raccontiamo tutta la nostra storia, dagli scavi di Sarroch alle vicende degli ultimi giorni, i minuti lenti scandiscono le nostre immagini e padre Jacopo ascolta con interesse chiedendoci di ripetere alcuni passaggi cruciali.
– Quelle che avete in mano sono le tre pietre sacre del nostro ordine monastico, nato molti secoli prima di quello fondato ufficialmente nel 529. Le pietre riappaiono in momenti delicati dell’umanità e indicano una soluzione, una via per la salvezza. La loro forza si esprime accostandole una sopra l’altra in un luogo che solo una persona conosce.
– Immagino sia lei… – sussurro.
– Sì, sono io, e adesso vi porto dove l’energia delle pietre si sprigionerà.
Seguiamo padre Jacopo, usciamo fuori dalla chiesa e ci dirigiamo in una strada sterrata in direzione del piccolo borgo di Borutta. Ci ritroviamo dinanzi all’ingresso di una grotta chiusa con un cancello. Padre Jacopo lo apre e ci invita a seguirlo.
Arriviamo dopo decine di metri in una grande stanza naturale, il silenzio è impressionante. Maria mi stringe la mano ormai da tanti minuti e Nicola per rispetto o timore non estrae la sua fida macchina fotografica.
– Datemi le pietre e spostatevi verso il muro.
Padre Jacopo posiziona le tre pietre una sopra l’altra con il foro ben allineato, in basso la rossa di trachite, in mezzo la nera di ossidiana e in alto la bianca di marmo a richiamare paradossalmente, ma con nessuna evidente logica, i colori attuali della bandiera sarda.
Una volta allineate le pietre, padre Jacopo si allontana di qualche metro e alzando le braccia al cielo comincia a recitare una preghiera in una lingua mai sentita. Alcune parole ricordano fortemente i suoni tradotti e utilizzati per le apparizioni a cui abbiamo assistito nei nuraghi.
Dal foro delle pietre emerge una piccola ma intensa luce che diventa sempre più forte, quasi a formare un raggio. La luce si allunga, una torcia di energia incomprensibile viene a crearsi e si dirige verso un angolo della grotta. In principio non capiamo cosa voglia dire ma a un certo punto la luce si ferma e il raggio mette in risalto una macchia nera sulla parete, non comprendo cosa.
– Pipistrelli! – grida Maria mettendosi le mani nei capelli per istinto.
La luce si fa ancora più forte, posizionandosi in modo preciso sopra uno dei mammiferi. È così abbagliante che il volatile si stacca e dopo due volteggi nell’aria si schianta a terra, morto.
Ci spostiamo impauriti e cerchiamo nello sguardo di padre Jacopo una risposta a quello che sta accadendo.
– Prendetelo e portatelo a qualche studioso, in quella creatura di Dio deve esserci la soluzione al male che sta affliggendo il mondo in questi giorni.
Un mese dopo.
Non è stato facile convincere alcuni infettivologi di fama nazionale a prendere in considerazione la nostra assurda proposta, ma grazie alla stima di cui Nicola gode in molti ambienti scientifici abbiamo avuto meno difficoltà di quanto immaginassimo.
Nel pipistrello è stata trovata la molecola che costituisce l’anticorpo per combattere in tempi brevi il virus che ha contagiato ormai milioni di persone nel mondo. Una delle sei specie rarissime presenti nella grotta Ulari, la Myotis capaccinii, ha conservato questa inaspettata particolarità e a detta degli studiosi in breve tempo il vaccino sarà a disposizione di tutti e con costi molto bassi.
Siamo tornati tutti alle nostre vite, in attesa di riacquistare la normalità nei gesti e nelle abitudini. Durante questo lento e obbligato passaggio, aspetto di poter fare l’unica cosa che in questi anni ha tenuto vive le mie passioni e dato colore ai miei giorni. Un semplice bacio alla mia Maria, adesso che ho scoperto di non essere l’unico ad aver covato per così tanto tempo un segreto grande come il mondo, il segreto dell’amore.
FINE
Se ti è piaciuto questo racconto scrivi a
**simoneriggio@demoela.com**
Un ringraziamento particolare alla mia cara amica **Alessandra Ghiani**
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Poche stanze lungo un corridoio ricco di bacheche cariche di libri antichi e siamo nella segreteria dell’abate Luigi.
Ci attende in piedi con le mani giunte e ci accoglie con una breve preghiera.
– Carissimi, cosa possiamo fare per voi?
– Padre, abbiamo qui delle pietre che hanno bisogno di essere decifrate, tutti i nostri studi ci hanno portato a voi, crediamo che sappiate di cosa stiamo parlando.
Alla vista della prima pietra, la rossa trovata a Sarroch, l’abate lancia una occhiata al suo fedele giovane monaco che esce immediatamente dalla stanza e la chiude a chiave da fuori.
– Conosciamo bene il valore e il messaggio di queste pietre. Avete fatto bene a raggiungerci così in fretta, non immaginate neanche lontanamente il potere che racchiudono.
Siamo pervasi da un impeto di gioia, sembra che i nostri sforzi durati così tanto tempo abbiano raggiunto il loro traguardo. Ci guardiamo felici, Giacomo e Nicola si abbracciano e Maria mi manda un bacio con le mani.
– Datemi gli zaini, adesso li teniamo noi per decifrare le iscrizioni sulle pietre.
All’improvviso la porta della segreteria si riapre e insieme al giovane monaco appaiono tre persone con delle armi in mano.
Tutto il nostro entusiasmo svanisce in una frazione di secondo.
– Che succede?
– Non vi preoccupate, il segreto che si cela dietro quelle pietre non deve essere diffuso, da millenni combattiamo con sapienza i tentativi degli antichi sciamani di migliorare e cambiare il mondo con le loro assurde stregonerie. Il corso del mondo deve scivolare ancora senza intoppi. Distruggete le pietre!
L’ordine impartito dall’abate è impetuoso e i tre scagnozzi armati lo esaudiscono subito. Prendono le tre pietre e cominciano a colpirle con dei grossi martelli sbriciolandole davanti ai nostri occhi increduli.
– Andate via. Nessuno crederà mai alle vostre assurde parole. Sappiamo con certezza che tra di noi si nasconde un discepolo degli sciamani. Lo scoveremo e lo daremo in pasto ai grifoni.
Torniamo verso il furgone ancora impietriti e sconvolti, forse avremmo dovuto incontrare prima l’esperto iconografico o forse avremmo dovuto muoverci con più cautela. Qualsiasi ipotesi adesso non ha più senso, l’unico senso rimasto è quello di un profondo silenzio nell’anima.
FINE
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Farei qualsiasi cosa per evitare un messaggio della mia ex moglie in un momento così, lei ha un’incredibile capacità di capire tutto quello che sto facendo, nel bene e nel male. Sarà anche per questo che il nostro rapporto si è incrinato subito dopo la nascita di Claudia.
– Hai sentito nostra figlia?
– Ciao Marta, qualche giorno fa, perché?
– Mi sembra molto preoccupata, credo sia meglio che tu la raggiunga in qualche modo a Madrid, penso abbia bisogno di te in questo momento.
– Non ha mai avuto bisogno di me, cosa te lo fa credere?
– Non dire idiozie, sai che a differenza mia ti adora.
– Mah, di te non l’ho mai dubitato, di Claudia non saprei.
– Smettila e chiamala, ha prenotato un volo per Madrid per domani mattina, se non la raggiungi e risolvete le questioni burocratiche per il rientro sarà costretta a passare la quarantena lì e non sarebbe giusto. Magari poi vi bloccano entrambi, pensa che bello.
– Ti piacerebbe, vero? Perché non vai tu?
– Non posso, ho i gemelli a cui badare e Luigi lo hanno rimandato a casa. Smart working anche per lui.
Sono costretto a mandare un messaggio a Nicola, rimandiamo tutto a quando rientro da Madrid. Se rientro, se ho voglia di rientrare.
FINE
[[Se non ti è piaciuto questo finale torna all'inizio della storia->prologo]]<===>
Non sarà facile arrivare con Nicola al Nuraghe Biunisi, i calcoli lo localizzano come il più vicino attualmente alla Zona Industriale di Porto Torres; se un posto esiste con delle risposte non può che essere quello.
Ho chiesto stamattina presto a Nicola di portare con sé la macchina fotografica e la pietra rossa di Sarroch. Partiamo alle tre e per le pattuglie che incontreremo per strada siamo due giornalisti che stanno salendo nel nord Sardegna per studiare la correlazione tra aree inquinate e numero dei contagi, come purtroppo tristemente sembra stiano dimostrando la Lombardia e i suoi dintorni.
Attraversiamo tutta la Sardegna sino a Porto Torres, svoltiamo verso Stintino e costeggiamo l’enorme spazio industriale sulla nostra destra, proprio un bel biglietto da visita per le navi che attraccano giornalmente sulla nostra isola. Pochi chilometri ancora e ci fermiamo lungo il ciglio della strada, al fianco di un cancello mal fatto e difeso da alcune bottiglie di plastica posizionate sulla punta di paletti in ferro. “State alla larga”, sembra dire il messaggio del pastore che cura i terreni.
Scendiamo dalla macchina e ci avviciniamo alla collinetta alberata che nasconde i resti del nuraghe. In verità, nonostante lo stato di abbandono, se ne percepisce ancora la maestosità, una visuale a 360 gradi su una zona, la Nurra, di grande pregio faunistico e culturale.
– Tieniti pronto con la macchina fotografica, aspettiamo che scurisca un po’ per non dare troppo nell’occhio.
– Ok, cavolo Simone, mi tremano le mani.
– Da un fotografo come te mi aspetto il massimo.
Nicola apre lo zaino e dopo tanti anni rivedo la pietra rossa. Avevo come me centinaia di scatti per studiarla, ma ora che la vedo nuovamente dal vivo ne sento la forza magnetica. Spero di aver tradotto bene le incisioni e che tutto vada bene. Entriamo dentro il nuraghe, in una zona semibuia.
– Ci siamo, Nicola. Ora recito il testo della pietra e se i miei calcoli sono esatti in qualche modo dovremmo ottenere il risultato sperato.
– Pronto.
Inizio a recitare le quindici parole tradotte, sembra un latino antico, sconosciuto. Alcune parole hanno un suono vagamente sardo; arrivo all’ultima, COVIDUM, e una luce intensa appare all’improvviso, questa volta non ci trova impreparati e dal fumo una figura analoga allo sciamano di Sarroch recita delle parole molto simili a quelle già udite. Guardiani, distruzione, salvare la terra: parole già sentite e scolpite ormai nelle nostre menti.
– Eccola! – esulta Nicola. – Un’altra pietra, sembra di marmo da quanto è bianca.
L’apparizione, frutto di qualche inganno o sortilegio incomprensibile, sparisce all’improvviso e rimaniamo io e Nicola ad abbracciarci come due reduci dalla guerra che si rincontrano dopo anni.
- [[Complimenti. Hai recuperato la pietra bianca. Torna a casa e rivedi gli appunti per capire se ti è sfuggito qualcos'altro.->finale]]
Dei tre amici di quell’avventura Nicola mi è sempre rimasto vicino. Abbiamo lavorato tanto insieme e ancora adesso ci cerchiamo spesso sia per lavoro sia per amicizia. Forse posso contare gli amici sulle dita di una mano, anzi sulle dita di una zampa posteriore di lupo perché al massimo arrivo a 4. Il mio numero perfetto, evidentemente.
Digito sulla pagina Facebook del mio profilo il suo nome ed eccoli lì, connesso come sempre. Scorro le sue ultime pubblicazioni e nonostante lo conosca da trent’anni mi chiedo ancora come riesca a creare con la fotografia delle immagini così emozionanti, ricche di sfumature, colori, e dare vita e voce anche alle semplici pietre della storia sarda. Nutro grande ammirazione e non sono il solo, come si evince dai commenti che riceve ogni minuto.
– Ci sei?
– Sì
– Che combini?
– Sto archiviando un po’ di foto su un nuovo hard disk, tu?
– Rileggevo il taccuino di Sarroch, ho avuto un’intuizione, credo che questa volta ci siamo.
– Come le altre dieci?
– No, no. Questa volta credo di aver capito. Mi credi se ti dico che c’entra con questa pandemia?
– Sei pazzo?
– No, credimi, mi mancano due dettagli ma ci siamo. Hai sempre la pietra con te?
– Certo, ben nascosta in cantina.
– Bene, tieniti pronto, ché domani si parte.
– Per dove?
– Non posso ancora dirtelo con certezza ma fidati di me.
– So di non avere alternative, come sempre… a domani.
Tutte così le nostre conversazioni: brevi, concise. So che a Nicola posso sembrare un po’ avventato ma ci lega una profonda stima reciproca. Cercherò di dormire sopra queste nuove sensazioni e domani chiamerò Nicola per fornirgli i dettagli dell’appuntamento. Prima di spegnere il computer mi accorgo che c’è un nuovo messaggio in chat.
- [[Rispondi a un messaggio della tua ex-moglie in chat]]
- [[Studi i dettagli dell’appuntamento]]
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Si può definire “amore della tua vita” una passione mai corrisposta, durata poco più di sei mesi? Un giorno ne parlerò con il mio amico Stefano, psicologo a Padova e in prima linea negli ospedali in questi giorni di pandemia. Mi devo segnare anche un appunto e chiamarlo. A che servono gli amici?
Chiamare Maria è come attendere la prima domanda agli esami di quinta superiore, un vuoto infinito tra le tue conoscenze e quello che stanno per chiederti, un filo sottile e lungo che non sai se si spezzerà oppure se riuscirai a tenertici aggrappato per i successivi minuti.
Prima di quella incredibile scoperta fatta insieme dentro il Nuraghe Antigori, avevamo avuto poche occasioni per stare insieme. All’inizio del terzo anno di Università ci siamo ritrovati nella stessa aula a seguire le lezioni di Archeologia della professoressa Ghiani. Per mesi distanti e sconosciuti, avevamo chiesto di partecipare agli scavi di Sarroch senza esserci mai scambiati una parola. Eppure, fin dalla prima volta in cui l’ho vista, ho capito che il suo volto non lo avrei mai scordato, e il nostro segreto sarebbe stato il sigillo di quella sensazione.
Cerco nella rubrica il suo numero di telefono, aspetto con ansia.
– Pronto, Simone? – risponde Maria, senza dubbio sorpresa.
– Ciao Maria, come va? Quanto tempo! Come stai?
– Bene dài, nonostante il delirio che stiamo vivendo non mi lamento. Riesco a lavorare da casa e gestire i figli, tu?
– Non è cambiato granché, computer prima, computer adesso. Senti, a proposito di questo, stavo rivedendo i nostri appunti della sera a Sarroch…
– Lo sai che non ne voglio più parlare! – mi interrompe Maria.
– Lo so, scusa, ma credo di avere una risposta all’apparizione di quella notte, ho bisogno del tuo aiuto.
– Ti prego Simone, lasciami in pace.
– [[Insisti e chiedi a Maria di incontrarla]]
– [[Chiudi la telefonata scusandoti con Maria]]<===>
Da capitanokirk73@gmail.com a info@panificioserra.it
Gentile Panificio Serra,
scrivo queste mie righe riferendomi al vostro titolare Giacomo.
Ciao Giacomo, come va?
È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti, spero tutto bene. Senti, so che può riaprire una vecchia ferita, ma ho bisogno di chiederti alcune cose sul nostro segreto, so che hai conservato alcuni appunti per me preziosi. Sto cercando di riordinare, in questi giorni costretto a casa, gli eventi di Sarroch. Fammi sapere se sei disponibile; sento che, in questo importante periodo storico, quello che abbiamo scoperto ventisei anni fa potrebbe avere un senso. Non mi è chiaro ancora come, ma dai miei appunti qualcosa sta emergendo.
Un caro saluto
– [[Aspetti dieci minuti davanti al computer in attesa della risposta]]
- [[Esci in balcone e bevi un bicchiere di cognac]]
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Ripensare a quella notte provoca in me sempre la stessa reazione: non riesco ad andare oltre. Il mistero che abbiamo portato alla luce ventisei anni fa è ancora oggi troppo pericoloso perché qualcuno, oltre a noi, possa venirne a conoscenza. Chiudo il diario degli appunti e accendo la televisione. Le immagini scorrono tra ospedali e medici indaffarati a contrastare questa epidemia virale. Mi spaventa ciò che vedo, ma la mia mente è sempre altrove. Il mio pensiero va a Maria, al giorno successivo a quello della scoperta e al passare del tempo, che fece scemare forzatamente un legame appena nato.
- [[Cerchi Nicola su Facebook]]
- [[Scrivi una e-mail al panificio di Giacomo]]
- [[Esci in balcone e bevi un bicchiere di cognac]]<===>
Forse la soluzione più stupida, ma indubbiamente l’unica che ci può dare ancora speranza.
– Parti, Giacomo, se ho capito bene dove siamo, fra cento metri sulla destra dovrebbe esserci una strada per uscire dalla 131. Corri. Avremo qualche secondo di vantaggio. Ho fatto quella strada diverse volte per visitare delle Domus de Janas che vedremo tra un chilometro, si notano delle finestre su una parete chiara, gira sulla destra e spegni il motore.
La strada è peggiore di come la ricordavo, un vecchio manto stradale desideroso di asfalto da decenni, buche da far invidia alla Roma capitale tanto menzionata negli sketch comici in tv.
Ceste, pane e noi tre diventiamo un tutt’uno nel cassone, sento gemiti di dolore di Maria e bestemmie di Nicola. In lontananza il suono più preoccupante di tutti, la sirena della volante.
Una brusca sterzata sulla destra annuncia l’arrivo al luogo che ho consigliato a Giacomo.
Un attimo dopo la macchina è ferma, fumante nelle ruote e bollente nel motore. Sembra avere vita e chiedere pietà per lo sforzo immenso appena fatto.
Mezzo minuto dopo sentiamo sfrecciare la volante sulla strada appena lasciata, il nascondiglio ha funzionato, chissà per quanto, ma adesso possiamo ragionare sul da farsi.
Scendiamo dal cassone ammaccati, Maria ha una leggera ferita sul sopracciglio e Nicola controlla le attrezzature fotografiche dentro il suo zaino. Nessuno prende parola per un bel po’.
– Di tutte le stronzate fatte in vita mia questa le batte tutte! – sbotta Giacomo. – Hanno i miei documenti, la mia targa, il mio telefono. Posso solo sparire da questo mondo.
– Avranno anche allertato il monastero di Borutta.
– Non abbiamo più speranze di portare a termine la nostra missione.
L’unica ancora in silenzio è Maria, ci giriamo da lei per sentire il suo pensiero, una parola femminile di conforto.
Maria ci guarda, un rivolo di sangue scorre dalla ferita, sembra Lara Croft nella sua intera bellezza e a un tratto scoppia a ridere. Ci guardiamo increduli e presi alla sprovvista scoppiamo a ridere anche noi. Sappiamo bene che non abbiamo modo di sfuggire alle ricerche della Polizia.
Cerchiamo un luogo ben riparato per nascondere le tre pietre, il nostro nuovo segreto per i prossimi anni sarà ben custodito. Andremo a costituirci presso una vicina stazione di Polizia prima di aggravare la nostra situazione. Se avrà ancora senso e il tempo ci darà ragione ci ritroveremo in questo strano luogo, sotto un cavalcavia della 131, a due passi da un luogo magico come le Domus de Janas e a due soli passi dalla possibilità di cambiare il destino del mondo.
FINE
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Il tempo di premere “invio” sulla tastiera e la risposta dal panificio è già lì, sul mio computer. Un piccolo sussulto all’anima che si spegne subito. La risposta automatica, fredda come non mai, triste in questa occasione:
“Gli Uffici del nostro panificio nel rispetto delle norme vigenti in questo periodo saranno aperti solo il lunedì e il mercoledì sera dalle ore 15.00 alle 17.00.
Risponderemo alla sua richiesta nel più breve tempo possibile.
Grazie per averci contattato”
Dovrò aspettare domani sera per ricevere una risposta. Me ne farò una ragione, anche se sento che gli appunti di Giacomo sono fondamentali nella mia ricerca, qualcosa che ci siamo già detti risuona nella mia mente e non riesco a focalizzarla.
– [[Scorri le e-mail precedenti tra di voi]]
- [[Esci in balcone e bevi un bicchiere di cognac]]
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Inutile, non basterà una vita per togliermi di dosso quella sensazione, quella voglia di scappare quando ripenso a quei momenti. Spero proprio che Giacomo non risponda alla mia e-mail e lasci le cose come stanno, ferme in un cassetto, con un mistero da risolvere e con mille incognite da disperdere nel tempo. Devo trovare altri modi per impegnare la mia mente. È la volta buona per riprendere in mano la mia vecchia Stratocaster e lasciarmi andare al caro vecchio Blues; la musica come sempre è capace di staccare corpo e anima dalla realtà, pur sapendo che la realtà non è come l’abbiamo sempre conosciuta.
FINE
- [[torna all'inizio della storia e trova un finale più interessante->prologo]]